Tanto per chiarire, in questi tempi di guide pratiche alla deresponsabilizzazione, di retorica della “follia” e orrori assortiti, in un paese dove c’è sempre una giustificazione per chi difende lo status quo e dove c’è la galera per chi agisce e pretende il cambiamento, e dove nessuno s’è mai accollato la responsabilità politica di alcunchè.
Qualche scellerato #tiburtinabloc ha bloccato il traffico. Impedendo a qualche simpatico incravattato di recarsi in ufficio a frustare i dipendenti.
È successo anche dell’altro. Qualcun’altro non è potuto recarsi dal proprio ufficio stampa per ribadire che i precari e le precarie soneo la parte peggiore di questo paese.
I giornali sono alla ricerca disperata di sovversivi che cercano 5 minuti di celebrità in una comoda intervista video.
I dipietristi che bramavano la Legge Reale fino a qualche secondo fa ora frignano per quei “studenti e studentesse schedati come delinquenti”. Quali delinquenti, quelli della Camera o quelli del Senato?
L’Unione degli studenti, che in passato segnalava ai questurini i casini che avrebbero potuto procurar loro gli “anarchici di Fisica”, ora parla di altri mondi possibili. Si spera senza di loro.
Piccola precisazione: chi si meraviglia o si scandalizza del casino nelle piazze quando il panico è quotidiano, non è politicamente dissociato: è mentalmente dissociato.
Daje regà, non è che un inizio.
” Non si potrà mai sapere chi siamo. Sarebbe stato diverso se avessimo scelto una linea di protesta di tipo sindacale, o una provocazione del tipo infrangere le vetrine. Quel momento è passato. Adesso vogliamo infrangere la vetrina dell’immagine.”
Un metabrand è nella sua definizione più “ufficiale” un brand, cioè un marchio, la cui esistenza è limitata solo al web. Per farla breve: Second life, con annessi e connessi mercati e valute virtuali, è un metabrand; a proposito di imparare il linguaggio del nemico per inviare messaggi propri, daje de guerrilla marketing – il guerrilla marketing è una forma di marketing, appunto, che con mezzi, tra virgolette, ridotti, ottiene grandi risultati. In materia militare la guerriglia è proprio questo: in ogni conflitto le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria (Sunzi). Un gruppo animalista che tinge di rosso una fontana davanti a un macello senz’altro fa guerrilla anch’egli.
Il pezzo d’intervista qui sopra proviene da un articolo di un famoso giornale emblematico della decadenza della sinistra malaticcia all’italiana; parla della divertentissima azione diretta di circa duecento precarie e precari che hanno ridicolizzato, nel 2005, un costoso e inutile evento della moda milanese creando il personaggio fittizio di Serpica Naro, una stilista di origine orientale, senza destare nemmeno un dubbio tra gli organizzatori che totalmente convinti della sua esistenza ne hanno ammesso la partecipazione.
Ora: credo che Serpica Naro e Malafemmina siano due esempi intelligentissimi di come sia possibile utilizzare ora e in futuro, anche inconsapevolmente, chissà – non possiedo palle di vetro – alcune cose a nostro favore, e un periodo nel quale vengono portate critiche alla forma-corteo, ed ad altre pratiche, chiedo: perché non facciamo una riflessione reale su quanto possiamo davvero fare? Le potenzialità non ci mancano e nemmeno gli strumenti.
Per la proliferazione incontrollata delle pratiche di sovversione: inventiamo, diffondiamo, condividiamo, pratichiamo!
Ci chiamano cattive.
Ci chiamano figlie della “buona borghesia” pure quando siamo figlie di operai, di casalinghe, o viceversa; perché è sempre molto bello rispolverare Pasolini, specie quando c’è sulla scena un conflitto sociale che non si può cavalcare con attrici e attori che non si sentono rappresentate/i da nessun burattinaio.
Lo sappiamo che “le donne hanno sempre avuto un ruolo nelle guerre, in tutte le guerre” dice Paola di Caro nel suo articolo qui.
Beh, non siamo mica figure sempre eteree, idilliache, dolci, disponibili, tranquille, asservite…quanto ci si agita di fronte alla violenza femminile quando questa non agisce in un modo o nell’altro in funzione del patriarcato!
Ebbene sì, collettivamente spostiamo cassonetti in mezzo alla strada e meniamo le mani quando e se c’è da farlo. Perchè sì, vogliamo rivoltarci senza essere considerate delle pazze furiose e vogliamo pure sottrarci alla ‘violenza’ verso il potere, quando questa è mera dimostrazione di machismo, senza dover apportare nessuna giustificazione, nè ai compagni nè a nessun’altro.
Perché ruoli non ne vogliamo, siamo stanche di essere incasellate, stufe di essere tutte in competizione con tutte, perché vogliamo poter fare quello che ci pare, perché non ci interessa essere le paladine, non ci interessa essere mamme modello,veline, e non ci interessa essere le prime della classe, non ci interessa raggiungere i primi posti della ragione – preferiamo quelli in fondo, del torto, dove si fa casino e il vociare rende inascoltabile i professori – si chiamino essi insegnanti, politici, economisti o intellettuali – che richiamano al silenzio, a quell’ordine che è morto dentro e non lo sa.
Ri-bellissime di tutto il globo: costruiamo sorellanze, cultura, conflitto!
Torrevecchia. Un tipo in motorino si scontra leggermente con un tipo in automobile.
Il tipo automunito si aggira minacciosamente sotto il mento del tipo motorinato, come a voleje ‘mbruttì.
Da lontano mentre mi allontano nel caos abbandonando i rissaioli al loro destino, una sola voce:
Aòòòòò a ‘nfameeee senza cascooooooo… La rivolta etica della cavalleria coatta, che splendore.
Un testo trovato in giro,comparso in seguito all’occupazione del teatro dell’Opera, in Grecia, mantenuta per diversi giorni…
***
Prima tutto era “ben” collocato.
Gli affamati in Africa. Gli “specialisti” nella televisione. I “cattivi” in prigione. Gli “anarchici” a Exarchia. Quelli che prendono le decisioni in Parlamento. Il nostro denaro ipotecato. La polizia ad ogni incrocio. Le nostre case alle banche. I nostri nemici in Turchia e in Macedonia. I nostri parcheggi al posto dei parchi.
Il nostro divertimento nei bar. I nostri figli nei collegi. I nostri amici su Facebook. L’arte nei musei e nelle gallerie. I nostri desideri nella pubblicità. I nostri alberi di Natale nella piazza del Parlamento. La bellezza nei centri estetici. L’amore solo il 14 Febbraio.
Noi, chiusi tra quattro mura.
Ora l’obbedienza è morta, inizia la magia.
Gli affamati nel Parlamento, gli specialisti a Exarchia, i cattivi nei centri estetici, gli anarchici pure nei musei e nelle gallerie, quelli che prendono decisioni solo il 14 Febbraio, la polizia in Africa, le nostre case nei parchi, i nostri nemici su Facebook, i parcheggi nelle banche.
Il nostro divertimento nei collegi, i nostri figli nei bar, i nostri desideri ad ogni incrocio, la nostra arte nelle ipoteche (non pagheremo).
Mesi fa le/i migranti radevano al suolo Gradisca. Da allora ad oggi, è successo un po’ di tutto, tra rivolte ed evasioni. Come sempre, mi mobilito con composta impazienza affinchè non esista più anche un solo lager: “..noi sull’ isola in cento come un unico gruppo cantavamo nel vento, la libertà, e non si deve sapere, non si può raccontare, la dignità è in cammino e oggi viene dal mare..”
Sono i primi giorni di settembre e i residui di “callara romana” si fanno ancora ampiamente sentire. Due giorni fa ho partecipato allo sciopero CGIL contro il quale sono stati lanciati numerosi anatemi. Ovviamente non ho manifestato insieme alla Camusso, quella stessa che tempo fa caldeggiava l’alleanza con la Marcegaglia contro quel rifiuto umano di Marchionne.
Sono andata all’appuntamento dei sindacati di base, che certamente non amo alla follia, ma con i quali sicuramente c’è molta più affinità che con i cigiellini.
Di questo appuntamento non ne ha parlato nessuno, perché la stampa tutta si è concentrata sull’enfatizzazione della marcetta a suon di Bella ciao.
No, non c’è stato solo questo. C’era un’altro corteo. Con altre parole d’ordine, altri gesti, altre persone, e altro sentimento, e che soprattutto ha chiarito tra un lancio di uova e vernice e l’altro, un concetto: il debito è vostro, e noi la crisi non la vogliamo pagare.
Fanno da trent’anni tagli al welfare per poi dirci che il welfare è eccessivo, alzano l’IVA “per non alzare le tasse” (e l’IVA cos’è, una marca di biscotti?) e pretendono pure di affibbiarci il peso sociale della restaurazione del loro sistema ingolfato che sta inevitabilmente collassando su sè stesso.
Anche coloro che dovrebbero essere tendenzialmente “con me” li sento parlare con termini talmente lontani dalla mia vita che non posso fidarmi di loro: non mi importa una mazza della sovranità monetaria, perché il default che tanto temono banche e padroncelli in ogni salsa, è la nostra liberazione: non abbiamo bisogno di un esistente che ci lega indissolubilmente a singoli ruoli, lavori, catene, non ce ne facciamo un bel niente di tutto ciò.
Non mi importa della sovranità monetaria, non mi importa della sovranità!
Voglio un mondo libero, di eguali, di libertà di disporre dei propri corpi, della libera circolazione di questi senza confini, galere; condivisione di beni e saperi.
Di crisi ne esiste una sola: è la crisi di nervi. Vi attanaglia non appena pensate: guadagnerò di meno, e vi coglierà del tutto impreparati quando ci vedrete in piazza con la rabbia vera, mica l’indignazione in giacca e cravatta sempre pronta a puntare il dito.